
In un’ipotetica lista dei fumetti migliori al mondo, per un’infinità di pregi contenutistici, dovrebbe apparire anche What’s Michael di Makoto Kobayashi. È un dato di fatto: si tratta di uno dei titoli più spassosi, originali e disegnati meglio che la nona arte abbia visto nel corso dei decenni. A renderlo più appetibile, sicuramente, ha influito il fatto che sia un fumetto su (e con) i gatti e, si sa, poche cose sanno destare l’attenzione più di quanto riescano i felini. Non a caso, quando nel 2015 lo street artist Bansky è stato a Gaza per osservare e mostrare al mondo i disastrosi effetti dell’attacco israeliano, ha scelto di ritrarre proprio un gatto sul muro di un palazzo distrutto. Questo perché – ha spiegato in rete lui stesso – la gente tende a restare ipnotizzata dai gattini più che dalle immagini di guerra.
A livello storico, strisce con gatti protagonisti già da tempo erano apparse su riviste e quotidiani: dall’irriverente Fritz di Robert Crumb (ideato nel 1959) a Garfield di Jim Davis (la cui prima striscia risale al 1978), per citare due tra i più famosi felini dell’universo fumettistico. Pubblicato a partire dal 1984 sulle pagine della rivista seinen Morning, What’s Michael è stata la risposta di Kodansha alle commedie esilaranti che stavano facendo la fortuna di altri colossi editoriali in quel periodo. Se in casa Shueisha, in quegli anni, si poteva contare su gag manga Stop! Hibari-kun (di Hisashi Eguchi) e Dr. Slump e Arale (di Akira Toriyama, autore di Dragon Ball) e, in quel di Shogakukan, Doraemon (di Fujiko F Fujio) e Urusei Yatsura (di Takahashi Rumiko) stavano dando parecchie soddisfazioni a livello di vendite, la Kodansha con What’s Michael è riuscita a trovare la sua gallina dalle uova d’oro.

Cosa rende, tuttavia, il fumetto di Kobayashi migliore dagli altri fumetti sui gatti che si susseguono da sempre in mille salse? In primis, il suo humour intelligente, parodico, mai volgare né banale, che si sposa alla perfezione con la raffinatezza delle illustrazioni dell’autore: un misto di grazia, espressività e realismo. Ma il punto di forza della serie è anche da ravvedersi nell’inesauribile creatività e varietà alla base degli episodi. Michael, gatto soriano dal pelo arancione, è protagonista di situazioni di volta in volta completamente diverse. Padroni e ambientazioni cambiano di capitolo in capitolo, così come diversi sono i ruoli che veste Michael, una sorta di attore feticcio capace di dimostrare in ogni occasione il proprio talento trasformista, pur mantenendo sempre le sue innate caratteristiche feline. Ed è proprio sul rapporto tra gatti e umani, e sulle reciproche modalità di interazione nel quotidiano, il fulcro su cui si basa la comicità dell’opera.
Un altro degli aspetti che conferisce lo status di evergreen alle avventure del gatto di Kobayashi è la mole di omaggi alla cultura pop del periodo. Michael ama ballare. Ed è talmente bravo da sorprendere… Michael Jackson in persona, che appare disegnato tra le pagine in varie occasioni. È infatti a Michael Jackson che il gatto di Kobayashi deve il proprio nome. Ma l’autore di What’s Michael non si limita al re del pop e scomoda chiunque: da Hello Kitty al manga hard boiled di Takao Saito, Golgo13; dal re del gag manga Fujio Akatsuka (inedito in Occidente) al nostro Lucio Fontana, fino ad arrivare addirittura a citare i modelli di Toyota di quegli anni. Una cosa che rende oggi, di fatto, What’s Michael una vera icona degli intramontabili anni Ottanta.

Le strisce di What’s Michael hanno ispirato due OAV e una serie animata, fedele allo spirito dell’opera originale. Se, però, nel fumetto, ogni episodio mostra Michael alle prese con situazioni e padroni diversi, la controparte animata presenta un cast stabile dove Michael è il gatto fisso di un fumettista e della sua compagna, mentre la temuta Miaozilla/Nyazira vive nella villa di un’attrice famosa e Shinnosuke diventa il cane della famiglia allargata dei vicini di Michael. La serie è stata anche trasmessa in Italia verso la fine degli anni Ottanta, anticipando la pubblicazione degli episodi del fumetto su Kappa Magazine verso la seconda metà degli anni Novanta.
Star Comics, di recente, ha ripubblicato in sei volumi la versione integrale del fumetto, aggiungendo un ultimo volume completamente inedito che recupera i 18 capitoli a colori, più lunghi delle consuete 8 pagine dedicate alla serie in bianco e nero, realizzati dopo la fine della serializzazione regolare su Morning, in cui l’autore fa apparire, accanto al gatto, ormai stanco e invecchiato, anche le “peccatrici” protagoniste di Chichonmachi (tradotto nei primi anni Duemila con il titolo di Porompompin), così come altri deliziosi easter eggs.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Diari di Cineclub 115.
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