
L’11 marzo 2010 debuttava Adventure Time, la serie animata più importante e influente del decennio successivo. L’ex storyboard artist Pendleton Ward, dopo il clamoroso successo di un corto pubblicato all’interno dell’antologia prodotta da Nicktoons Random! Cartoons, aveva avuto via libera da Cartoon Network per espandere quell’universo e trarne una nuova proprietà intellettuale.
Dotate di un’estetica che pescava a piene mani tanto nel fumetto alla PictureBox quanto nella prima onda dell’urban vinyl, narrativamente strutturata intorno a un vago concetto di gioco di ruolo un po’ D&D un po’ Legend of Zelda, le strampalate avventure di Jake e Finn ebbero da subito un effetto deflagrante. Eppure si presentavano come sottilmente sgradevoli, dotate di una narrazione talvolta criptica e spiazzante, punteggiate da vette di bizzarro difficilmente prevedibili in una produzione destinata a una fascia di spettatori piuttosto giovane. Sugli schermi di tutto il mondo arrivò una visione del fantasy mai vista in lidi così mainstream, e il successo – a dir poco trasversale – fu immediato.
Fin dalle sue prime puntate, l’epopea messa in piedi da Ward e dalla sua squadra di talenti si dimostrò parecchio sfidante per il pubblico a cui era rivolta. Oltretutto con il passare delle stagioni l’asticella del consentito si alzò progressivamente, allargando poco a poco una lore già di per sé ipertrofica e richiedendo sempre più attenzione. Rispetto a tante altre narrazioni cristallizzate nel tempo, Adventure Time cresceva con i suoi spettatori. Un approccio che ha portato alla nuova Adventure Time: Fionna & Cake, secondo spin-off della serie principale esplicitamente dedicato agli adulti. Come era successo con l’esperimento Adventure Time: Distant Lands, si è passati da Cartoon Network a HBO Max. Questa volta non con quattro episodi speciali, ma con una serie che potrebbe camminare benissimo con le sue gambe.
Sebbene fruibile da chiunque non abbia mai visto una puntata di Adventure Time in vita sua, la storia prende il via dopo i fatti del quadruplo episodio finale Vieni insieme a me. Abbiamo Re Ghiaccio tornato alla sua identità di Simon Petrikov, tanti riferimenti alla lotta tra la sua amata Betty e il GOLB e ci viene mostrato come la vita nella Terra di Ooo sia proseguita dopo gli eventi drammatici di quella storia.
Nonostante questa attenzione a non tradire quanto raccontato negli 283 episodi della serie principale, Adventure Time: Fionna & Cake viene però venduto come sequel espanso del nono episodio della terza stagione – Fionna & Cake appunto – un “what if” in cui entravamo per la prima volta in contatto con una versione gender swap dell’universo narrativo di riferimento. Al posto di Finn, del cane Jake, della vampira Marceline e di Lady Iridella, tanto per fare qualche esempio, avevamo Fionna, il gatto Cake, il vampiro Marshall Lee e Lord Monocromo. In chiusura dell’episodio veniva rivelato che lo spunto narrativo nasceva da una fanfiction scritta dallo stesso Re Ghiaccio. La puntata era scritta da Rebecca Sugar (futura autrice di Steven Universe) e da Adam Muto, basandosi su una serie di fan art della storyboard artist Natasha Allegri.
Nella prima puntata di questa nuova serie incontriamo quindi i protagonisti in versione gender swap, anche se molto diversi da come ce li ricordavamo. Il loro mondo è infatti molto simile al nostro. Fionna è una ragazza un po’ pasticciona che non riesce a tenersi in nessun modo il suo lavoro, Cake è un semplice gatto. Gary Prince (nome civile del principe Gommorosa) lavora in una bakery, mentre Marshall Lee è una specie di punk rocker alla Bad Brains (curioso in questo caso il fil rouge con lo Spider-Punk di Spider-Man: Across the Spider-Verse). Tutto molto divertente, ma a questo punto Adventure Time: Fionna & Cake rischia davvero di pagare lo scotto del tempo. Subito si capisce infatti come il motore principale della serie sia infatti l’abusato concetto di multiverso.
Teniamo però conto che in Adventure Time questo espediente narrativo veniva introdotto nel 2014, con sette anni di anticipo rispetto al Marvel Cinematic Universe, nell’episodio della sesta stagione Escape from the Citadel. Ben più tardi rispetto a quanto fatto da classici come Star Trek o Doctor Who, ma comunque in ampio anticipo rispetto allo sbrodolamento delle ultime stagioni cinematografiche. Rimane il fatto che la sezione centrale della serie, quella più antologica e dedicata all’esplorazione degli universi paralleli, rischia di deragliare più volte in territori ampiamente già visti. L’universo tradizionalmente post-apocalittico, alla Mad Max per intenderci, o quello vampirico sono sinistramente tangenti alla noia e al divertissement fine a se stesso.
Per fortuna il punto di tutta l’operazione è un’altro, agli antipodi di quanto fatto intuire nelle prime puntate. Nonostante la serie si intitoli Adventure Time: Fionna & Cake, il vero protagonista è il mite antiquario Simon Petrikov aka Re Ghiaccio, antagonista delle prime stagioni e figura centrale dello storico episodio Un ricordo di te. Forse il primo caso in cui Adventure Time si poneva come qualcosa di più di una semplice serie animata per bambini. In quell’occasione scoprivamo infatti la devastante backstory del perfido regnante, scoprendo come i suoi comportamenti da folle fossero dovuti a una malattia simile all’alzheimer.
Da quel momento i veri cattivi di Ooo passarono a essere entità autenticamente spaventose come il Lich o il GOLB, mentre Re Ghiaccio rimase una figura semplicemente straziante. Da un punto di partenza così umano, Adventure Time: Fionna & Cake ha dipanato una vicenda in cui multiversi e battaglie all’ultimo sangue sono solo accessorie, ponendo al centro di tutto una storia d’amore e di maturazione personale con passaggi parecchio impegnativi. Si parla di come la propria idea di affetto possa essere totalmente tossica per qualcun altro, o di come le proprie mire e aspirazioni possano essere dannose per chi ci sta accanto. Temi importanti, trattati con il giusto respiro e una maturità assoluta.
Si tratta di un approccio molto diverso rispetto a quanto portato avanti nel fumetto popolare statunitense, spesso tacciato di non considerare i lettori occasionali più giovani a favore dei lettori adulti di lunga data. Basta leggere i riassunti pubblicati su queste pagine per capire come oggi Spider-Man o Batman, tanto per citare due testate centrali al discorso mainstream, si rivolgano principalmente a chi su quelle pagine ha già passato anni e anni.
Eppure, per quanti proclami di modernità si possano fare, rimangono pubblicazioni adatte a chi cerca trame involute, ricche di spunti interessanti solo in quel contesto. Narrazioni indirizzate a lettori minimo ultratrentenni, ma che se asciugate all’osso non sono molto più di grosse scazzottate pretestuose e destinate a concludersi con l’ennesimo balletto tra “ribaltone di tutto quello che sappiamo” e ritorno coatto allo status quo. Con Adventure Time la strategia è totalmente diversa, consapevole e delicata allo stesso tempo.
Abbiamo un proseguimento della serie principale, perfettamente coerente alla matrice originale per continuity e ritmo di progressione della complessità, ma strutturato in maniera più complessa e con momenti emotivamente più intensi rispetto a quando era trasmessa su Cartoon Network. Il concetto di maturo non viene declinato aumentando la quantità di violenza o di trovate bizzarre – penso all’episodio L’omino magico della prima stagione – ma scavando più a fondo nei personaggi.
Adam Muto – alla sua prima prova come showrunner dopo aver fatto da storyboard artist, animatore, scrittore e produttore per Adventure Time – ha fiducia nei fan della serie e tratta il suo pubblico con l’intelligenza e la considerazione che merita. Non gioca al ribasso, ha enorme rispetto del materiale di partenza ma decide comunque che sia arrivato il momento di raccontare altri tipi di storie. Episodi come La serata delle coppiette o Una band di amici, dove si indagava in maniera lieve e delicata il rapporto tra Marceline e la Principessa Gommarosa, potevano essere adatti a uno show per Cartoon Network. Ora è il momento di portare il discorso a un altro livello.
Adventure Time rimane comunque lo stesso folle contenitore di stranezze – a un certo punto la narrazione prosegue all’interno di un libro game letto da due personaggi secondari – e una buona dose di divertimento ed evasione sono garantiti, ma l’approccio è qualcosa che in Occidente si è visto di rado. Una serie dall’immaginario infantile, nata come prodotto per un pubblico in età scolare, ma chiaramente destinata fin dall’inizio a chiunque, diventa un prodotto per adulti che non si serve di volgarità o scorrettezze per dimostrarlo.
Non si tratta di un prodotto nostalgico – alla fine Fionna sceglie di vivere nel suo mondo normale, lasciandosi del tutto alle spalle le avventure di Ooo – ma di un racconto di maturazione che dimostra come l’attaccamento a certi immaginari a un certo punto debba essere lasciato andare. O perlomeno vissuto con meno trasporto e fanatismo.
Il tutto senza perdere un briciolo dell’inventiva sopra le righe della serie originale, così importante a livello visivo da essere definita dal New York Times come «una delle meraviglie visuali e artistiche dell’ultimo decennio». Animata molto bene, con la consueta colonna sonora straniante e i cartelli di Michael DeForge, piena di piccoli particolari che la rendono una minuscola gemma preziosa. Anche se la storia raccontata non fosse così importante, varrebbe comunque la pena recuperarla.
Leggi tutti gli articoli di Sofisticazioni popolari e segui la pagina Instagram dedicata.
Entra nel canale WhatsApp di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Telegram, Instagram, Facebook e Twitter.