I fumetti del giovane Corto Maltese alla ricerca di una loro identità

corto maltese la regina babilonia

A breve distanza di tempo, Martin Quenehen e Bastien Vivès ritornano sul luogo del delitto. Corto Maltese: Oceano Nerocome detto a suo tempo – era un’opera “tiepida” e come tale rischiava di lasciare una traccia effimera dietro sé: una produzione estemponarea, finalizzata a rinverdire il mito del personaggio di Hugo Pratt per renderlo appetibile a nuovi – improbabili – lettori. Devo ammettere senza riserve che quando ho cominciato a sfogliare le pagine del nuovo lavoro, intitolato La regina di Babilonia, avevo completamente resettato il mio cervello su quanto avessi letto precedentemente. I pochi ricordi erano legati a Vivès e alla sua indubbia capacità di raccontare. E in questo nuovo capitolo ancora una volta la parte del leone è affidata al disegnatore francese.

Vivès viene fuori da un momento difficile. La sua incontenibile creatività l’ha portato a confrontarsi con il fumetto pornografico, incamminandosi lungo territori scivolosi. Se la tendenza a mettere in scena situazioni di sesso tra adolescenti era comprensibile all’interno della cornice “nostalgica” di Una sorella – sebbene permanesse una certa compiacenza voyeuristica – in opere squisitamente pornografiche e nei suoi sketch era palese l’attardarsi quasi lubrico su alcune parafilie che hanno fatto insorgere la rete con tanto di boicottagi e rappressaglie. Tuttavia, la memoria è labile e quindi, nonostante l’eccessivo rumore, lo ritroviamo nuovamente alle prese con le avventure del giovane Corto. E per fortuna, aggiungerei. 

Nonostante la piacevolezza della storia, infatti, Quenehen procede ancora a tentoni, e non si capisce se stia cercando di smarcarsi dall’eredità ingombrante di Pratt o se, invece, l’angoscia dell’influenza lo conduca a scelte non sempre felicissime. Perché questo secondo tomo si apre in media res ma poi si attarda tra flashback e flebili citazioni in una ridda di momenti che sembrano di per sé giustapposti. Si procede per salti e fughe con una capacità melodrammatica estranea alle atmosfere oniriche eppure così concrete di Pratt. 

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La regina di Babilonia è una storia che funziona se non si nutrono grandi pretese, si legge con disinvoltura e senza grande sforzo, si prova un po’ di empatia, ci si esalta grazie alla resa cinematica di alcune sequenze – merito del solo Vivès -, ma poi il gioco si esaurisce velocemente. Basta soffermarsi un attimo su quanto si sta leggendo perché il sogno (o l’incubo) di un Corto Maltese senza Pratt svanisca come neve al sole. Sono tanti piccoli segnali a tracciare un inevitabile débâcle.

Ad esempio, la Venezia immortalata da Quenehen e Vivès ha poco della città ubiqua disegnata da Pratt (a tale proposito si faccia riferimento al saggio di Stefano Cristante Corto Maltese e la poetica dello straniero, pubblicato da Mimesis edizioni). In Corte Sconta detta Arcana – la prima storia lunga dopo il folgorante inizio della Ballata del mare salato – Corto Maltese si trova a miglia e miglia di distanza dalla Serenissima, eppure tra le lande desolate della Manciuria l’ombra della città emerge di continuo. Qui, invece, è poco più che uno scenario, e l’apparizione di Freya è un tentativo posticcio di creare un trait d’union con il primo capitolo. 

Così come l’irruzione della Storia e il muoversi tangenziale e interstiziale di Corto nel teatro geopolitico hanno tutto il sapore di una mimesi ottusa. Il Corto Maltese prattiano vive le sue avventure in un lasso di tempo compreso tra il 1904 e il 1925, un periodo pieno di quegli sconvolgimenti che hanno forgiato un secolo intero e i cui strascichi avvertiamo ancora adesso. Tuttavia, la distanza e la dimensione quasi “mitica” riuscivano a garantire un’aura romanzesca. In questo caso, Quenehen sceglie un periodo altrettanto cruciale, ma la cui distanza per chi legge è quasi azzerata. E immaginando che i lettori di Corto siano quelli di vecchia data, tutto ciò quasi annulla il sense of wonder che le avventure raccontate da Pratt erano in grado di generare.

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La Sarajevo post bellica di Ismet “Ćelo” Bajramović resta sullo sfondo, mentre la drammatizzazione di quest’ultimo oscilla tra lo stereotipo e la macchietta. Stessa cosa per la lunga sequenza turco-irachena. La sensazione a questo punto è di una narrazione che cerca di affondare le mani nella storia recente, ma lo fa in maniera grossolana: con una collazione forzosa degli eventi.

Certo, è sempre impietoso far riferimento al corpus prattiano per giudicare questo nuovo corso. Dovremmo leggerlo sforzandoci di dimenticare, di mettere tra parentesi tutto quello che Corto Maltese significa, tutto l’universo mitopoietico generato dalla penna di Hugo Pratt, ma è un’operazione quasi impossibile. L’unica via è quella di assumere questo ennesimo reboot a cuor leggero per non trovarsi a inforcare gli occhiali e sottolineare ogni sbavatura, ogni defiance, ogni minimo scarto. Di certo Quenehen non ci aiuta, e se non fosse per il segno di Vivès la lettura sarebbe un oneroso stillicidio

Il nuovo Corto procede così a tentoni, cercando una sua precisa identità senza però volersi scrollare di dosso il peso del passato. Un’ambiguità, questa, che potrebbe alla lunga nuocere al progetto voluto da Cong Edizioni per rinverdire (e palesemente sfruttare) l’eredità di Hugo Pratt.

Corto Maltese – La regina di Babilonia
di Bastien Vivès e Martin Quenehen
traduzione di Cecilia Gasparini e Marco Steiner
Cong Edizioni, ottobre 2023
cartonato, 184 pp., b/n
21,00 € (acquista online)

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