
«Quanto tempo ci separa dalla prossima estate?» Questa domanda riecheggia nella mente di Dylan Dog al termine di uno degli episodi più importanti del personaggio. Nell’ultima tavola de Il lungo addio, l’indagatore dell’incubo ritorna al suo appartamento di Craven Road dopo aver vissuto una delle esperienze più dolorose della sua vita (i ricordi sono in genere gli incubi più spaventosi), e abbraccia l’assistente Groucho scambiando con lui poche, faticose parole.
Per tutto l’episodio, Groucho non ha detto una sola battuta, rispettando dignitosamente il dolore dell’amico: ha lasciato che questo dolore si sedimentasse, che diventasse qualcosa di concreto e di afferrabile, così da poterlo controllare. Mi piace pensare che Groucho abbia reagito allo stesso modo quando, il 1 novembre 2023, è morto Carlo Ambrosini, una delle firme più importanti di Dylan Dog, nonché creatore di altri indimenticabili personaggi a fumetti come Nico Macchia, Napoleone, Jan Dix. Nel giorno doloroso dell’addio a questo grande autore, sono certo che persino Groucho non abbia avuto la forza di fare battute.
Esattamente 31 anni prima, nel novembre del 1992, sul numero 74 di Dylan Dog, usciva proprio Il lungo addio, disegnata da Ambrosini e scritta da Tiziano Sclavi su soggetto di Mauro Marcheselli. Una storia entrata nel cuore dei lettori, non soltanto perché è una commovente rievocazione del primo amore di Dylan, ma anche perché è una riuscita, importante riflessione sul tempo della vita, sul dolore di crescere, sui rimpianti e i tradimenti che inevitabilmente segnano il nostro passaggio nel mondo.

Una donna dai capelli biondi e dallo sguardo dolce, di nome Marina Kimball, si presenta davanti alla porta di Dylan Dog per parlargli: sono passati molti anni dall’ultima volta che l’ha visto, e ora ha bisogno del suo aiuto per tornare a casa. Marina è il grande, irrealizzato amore adolescenziale dell’uomo, un amore tormentato, come tutti i grandi amori della giovinezza, un amore confuso, esitante, pieno di incomprensioni, concluso troppo in fretta durante la prima vacanza che Dylan Dog trascorse da solo, in una cittadina di mare chiamata Moonlight. Non si videro mai più, Dylan e Marina, dopo quella breve estate: vissero le loro vite e superarono la gioia e il dolore.
Così, vent’anni dopo, quasi una vita intera, Dylan riporta Marina a casa, a bordo del suo Maggiolino, lungo un’autostrada tutta dritta e stranamente deserta, senza automobili, come quegli attimi di silenzio che scaturiscono all’improvviso in una stanza affollata. Ed è un viaggio nel tempo, il loro, lungo le tappe di un passato irrisolto. A rievocare i loro abbracci, silenziosi e inquieti, sotto il chiaro di luna. In un momento di distrazione, Dylan quasi investe un bambino in mezzo alla strada: ma è un bambino che non esiste, è il figlio che Marina avrebbe avuto se la sua vita fosse stata diversa.
Nello stesso Luna Park dove da adolescenti tiravano tardi le loro serate, ora hanno l’occasione per confessarsi ciò che allora non ebbero il coraggio di ammettere. Ad un passaggio a livello, vedono se stessi ancora ragazzini, sopra il treno che li avrebbe condotti a un viaggio più breve del previsto. Questo continuo movimento tra presente e passato confonde i limiti tra il reale ed il possibile, tra ciò che è stato e ciò avrebbe potuto essere.

Il tratto elegante di Ambrosini coglie con esattezza questo paesaggio sospeso al di là del tempo e dello spazio, «oltre i confini delle sfere celesti», come recita la poesia di Baudelaire Elevazione, tante volte citata su Napoleone: un paesaggio fatto di ricordi e di desideri, di parole non dette e opportunità non colte. Scrive Thomas S. Eliot: «Il tempo presente e il tempo passato / sono forse entrambi presenti nel tempo futuro, / e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato. / Se tutto il tempo è eternamente presente / tutto il tempo è irredimibile».
Il tempo della nostra vita è una moneta che non si può riscattare. Il passato è fatto soprattutto di ciò che abbiamo perso, degli amori e delle esperienze che non abbiamo mai realizzato. Lungo il doloroso percorso verso Moonlight, tutto il tempo si cristallizza in un eterno presente. Dylan e Marina tornano ragazzi impauriti e desiderosi, che guardano loro stessi ormai adulti e sognano la vita che non hanno mai vissuto.
In questo continuo sfuggirsi e rincorrersi, senza davvero incontrarsi mai, sta forse il senso più profondo del loro amore, perfetto come tutti gli amori dell’adolescenza. «Quanto tempo ci separa dalla prossima estate?» si chiede Dylan dopo aver salutato Marina per l’ultima volta. Nel suo silenzio rispettoso, forse solo Groucho ha la risposta a questa domanda. Forse ci vorrà un’eternità per ritornare di nuovo a Moonlight. O, forse, basterà invece un istante, quel singolo istante perfetto, eternamente felice ed eternamente triste, che precede l’addio.
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