Il passato grandioso e il futuro incerto della Disney in un corto

once upon a studio disney
Una scena dal corto Disney “Once Upon a Studio”

Il 16 ottobre 1923 Walt Disney e suo fratello Roy fondarono i Disney Brothers Cartoon Studios, che nel 1929 si trasformarono in Walt Disney Productions, poi nel 1986 in Walt Disney Feature Animation e infine, nel 2007, Walt Disney Animation Studios. Da quel 16 ottobre 1923 sono passati cento anni, e la Disney – intesa come compagnia d’intrattenimento – è diventata un colosso che gestisce i franchise più importanti (Star Wars, Marvel), una mole di merchandise impressionante, ma che soprattutto ha in mano diversi immaginari impressi negli occhi, nel cuore e nella mente di miliardi di spettatori in tutti il mondo mondo (con anche effetti negativi: per chi volesse approfondire consiglio il saggio La Disneyficazione – Dimensioni e registri di un linguaggio universale).

Per festeggiare il centenario della nascita, gli Studios hanno distribuito un cortometraggio nella piattaforma di streaming Disney+. Si intitola Once Upon a Studio e dovrebbe essere un momento di riflessione su ciò che Disney è stata, su ciò che è e su ciò che sarà. Il tutto in nove minuti. È il 16 ottobre 2023 e la giornata lavorativa, negli studi Disney, è ormai finita, tutti stanno uscendo. Quando non rimane più nessuno, Topolino esce dall’immagine di un quadro e chiama a raccolta tutti per una foto celebrativa. E per tutti intendo proprio tutti: 545 personaggi principali o minori che hanno dato vita a cento anni di animazione Disney. 

Once Upon a Studio è di certo un virtuoso esempio di integrazione fra animazione 2D, animazione 3D e riprese dal vero. Per fare ciò è stata affidata la parte delle animazioni computerizzate a Andrew Feliciano e quella delle animazioni in 2D a Eric Goldberg. Il lavoro è stato molto complicato, tanto che per animare personaggi realizzati in 3D prima di Rapunzel è stato necessario lavorare su nuovi render, poiché erano stati creati con tecnologie e software obsoleti. La maggior parte delle animazioni è stata fatta a mano, una tecnica che, almeno per quel che riguarda i lungometraggi, Disney sembra aver abbandonato definitivamente. Il risultato è certamente impressionante per qualità, cura e rispetto (per il Genio di Aladdin è stata usata una registrazione poi scartata della voce di Robin Williams).

Nelle intenzioni dei due registi Trent Correy e Dan Abraham, Once Upon a Studio avrebbe dovuto essere una lettera d’amore verso i Walt Disney Studios e un ringraziamento verso coloro che li hanno amati e seguiti. E in effetti è un gigantesco gioco al citazionismo, al rimando, al capire chi è quel personaggio, in quale film fosse e via dicendo. È un’autocelebrazione? Sì. E ci può stare, dato il peso che Disney ha avuto e ha ancora oggi nell’immaginario collettivo. Ci sono piccole sfumature che i più attenti avranno notato, come quando Topolino fa passare Oswald il coniglio fortunato (primo personaggio creato da Walt Disney, poi rubatogli e riottenuto solo 2006) dicendogli: «Dopo di te…».

Ciò che emerge, però, in Once Upon a Studio – a parte una profonda conoscenza dell’arte animata e una profonda consapevolezza del proprio indiscutibile ruolo – è l’incertezza su quale sarà il futuro degli Studios. Disney è in una crisi economica mai vista prima: centinaia di licenziamenti, un bilancio traballante e poche idee in grado di poterla rilanciare (qui un articolo che spiega bene che cosa sta succedendo). Che la situazione fosse difficile si era capito quando, dopo la tremenda gestione di Bob Chapek, è stato richiamato dalla pensione Bob Iger per risollevare le sorti. E ciò che Iger ha fatto, comprensibilmente, è stato affidarsi ai brand più noti e amati. 

Tra i futuri film Disney e Pixar ci sono i sequel di Frozen, di Zootropolis e di Toy Story. Poche idee originali. E il film che celebra il centenario? Wish (la cui proiezione sarà preceduta proprio da Once Upon a Studio) uscirà a dicembre e già si presenta come un’anomalia: una tecnica 3D mista che emula in parte l’animazione in 2D. Cioè, si è scelto deliberatamente di non usare quest’ultima perché «il 2D ha troppe limitazioni in termini di movimenti di camera e caratterizzazioni», come ha riferito Jennifer Lee, direttrice creativa nonché co-regista di Frozen

Si abbandonano le proprie origini per praticità. Ma, da un’azienda che in questi cento anni ha osato tanto, ha plasmato un immaginario, ci ha permesso di non abbandonare i noi bambini, che, insomma, ha reso possibile il sogno, non sarebbe giusto aspettarsi di più? Affidiamoci allora alla stella dei desideri: «Ed il sogno tuo sincer, esaudirà».

Leggi anche: “Robin Hood”, come fare la Disney senza Walt Disney

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