A chi tiene d’occhio sui quotidiani la top ten settimanale dei fumetti più venduti non sarà sfuggito che non manca quasi mai un volume di Chainsaw Man. Il successo di questa serie ha reso il suo autore, il trentenne Tatsuki Fujimoto, uno dei nomi più noti del manga avventuroso per adolescenti. Eppure, come hanno dimostrato opere di taglio realistico e intimo come Look Back e Goodbye, Eri, Fujimoto non è un autore di battle shonen come tanti, bensì un mangaka dalla personalità complessa, capace di offrire a chi legge una sua originale visione del mondo. Oltretutto, alquanto bizzarra e spiazzante.

Vita reale e inventata

Classe 1992 o più probabilmente 1993, Fujimoto cominciò a disegnare manga mentre studiava pittura a olio alla Tohoku University of Art and Design di Yamagata. Come molti aspiranti autori, a diciassette anni inviò a Shueisha una storia breve, intitolata Due galline nel cortile, ottenendo una segnalazione sul mensile Jump JQ, e da lì continuò per vari anni a realizzare storie one-shot. Queste sono tra le pochissime informazioni attendibili che si hanno dell’autore, dal momento che Fujimoto ama disseminare le sue pubblicazioni di notazioni autobiografiche dalla veridicità quanto meno dubbia.

Tatsuki Fujimoto manga

In una di queste (contenuta in Short Stories 22-26) racconta di quando a vent’anni, nell’appartamento che divideva con la sua ragazza, nonostante le ristrettezze economiche, tenesse con sé un animale domestico, un fondulo, ossia un pesce d’acqua dolce. Quando il pesce morì, cedendo alla richiesta della ragazza di seppellirlo anziché gettarlo nell’immondizia, lo portò al parco, ma poiché la terra era troppo dura per essere smossa a mani nude decise di abbandonarlo lì sul prato. 

«Restai a osservarlo per un po’, fino a quando non venne trovato da un nugolo di formiche che cercarono di portarlo via. Solo allora iniziai ad affezionarmi al fondulo, senza capire bene la natura del mio sentimento. Così cacciai le formiche e lo mangiai.» Rimediando una micidiale gastroenterite e non raccontando mai alla sua ragazza che cosa aveva fatto. Un episodio, forse quasi del tutto inventato, che non sfigurerebbe nella biografia di uno qualsiasi dei personaggi di Fujimoto, apparentemente indifferenti a tutto ma in realtà capaci di provare sentimenti molto forti, di manifestarli in gesti tanto plateali quanto illogici e di registrarne le conseguenze con un ironico distacco.

Fujimoto racconta anche (in Short Stories 17-21) di quando si unì alle squadre di soccorso a seguito del terremoto che nel 2011 sconvolse la regione di Yamagata (e portò al disastro nucleare di Fukushima). Insieme a una trentina di studenti scavò per un giorno intero in quello che era stato un quartiere residenziale, ma dopo tutto quel lavoro l’area non sembrava affatto ripulita dai detriti: «Andai solo un’altra volta ad aiutare le squadre di soccorso, poi decisi di smettere. Dai diciassette anni in poi quella specie di senso di impotenza non mi ha più abbandonato. Inoltre, ogni volta che accadeva qualche incidente tragico, il sentore di non fare niente diventava più intenso e pesante». Questa amara consapevolezza – non poter fare la differenza nonostante le buone intenzioni – Fujimoto scelse di tenerla con sé anche al momento di confrontarsi con il meccanismo narrativo del battle shonen, in genere costruito attorno a personaggi volitivi, ottimisti e convinti di poter guarire il mondo.

Fire Punch e il mondo alla deriva

La prima serie di Fujimoto fu pubblicata dal 2016 al 2018 non su Shonen Jump, ma sulla sua versione digitale, Shonen Jump +, dove trovano spazio progetti un po’ diversi dal solito e più azzardati. E in effetti Fire Punch è distante anni luce dai battle shonen alla Jump.

Tatsuki Fujimoto fire punch manga

In un futuro post-apocalittico, una glaciazione provocata dalla misteriosa Strega del Ghiaccio ha precipitato l’umanità in uno stato di barbarie: i più forti trattano i deboli come cibo da mangiare, legna da bruciare o, nel caso in cui siano “benedetti”, ossia provvisti di poteri sovrannaturali, come schiavi da sfruttare. Tra i benedetti ci sono Agni e Luna, fratello e sorella orfani e legati da un affetto che rasenta l’incesto, che grazie ai loro poteri di rigenerazione nutrono con la loro carne i pacifici abitanti di un piccolo villaggio

Quando l’insediamento viene consumato dalle fiamme inestinguibili di Doma – il capo di una guarnigione proveniente dalla crudele città di Behemdorg – Agni è l’unico a sopravvivere, trasformandosi in una sorta di torcia umana che brucia e si rigenera in continuazione. Divenuto suo malgrado un essere mostruoso e potentissimo, Agni salva la vita al giovane e ingenuo Sun, che prende a venerarlo come un eroe dall’aura divina, e colpisce l’immaginazione di Togata, un personaggio sopra le righe che ha abilità straordinarie, molti più anni di quelli che dimostra e una passione sfegatata per il cinema. Agni diviene il protagonista della pellicola che Togata gira con la sua piccola cinepresa e, inizialmente animato dalla volontà di vendicare Luna, prende a seguire sempre più spesso le indicazioni registiche di Togata, la cui volontà di raccontare una storia coerente sembra l’unica cosa capace di restituire un senso a tutto.

In un’intervista rilasciata qualche tempo fa, Fujimoto ha indicato nel cinema coreano la sua fonte di ispirazione principale per questa serie: «C’è un film intitolato The Chaser in cui il cattivo viene catturato già nei primi 30 minuti. In pratica, quello che dovrebbe essere il finale avviene già all’inizio, e tu continui a chiederti che cosa succederà nella restante ora e mezza. Mentre guardi un film coreano sembra sempre di non capire dove il regista voglia andare a parare, ma alla fine tutto diventa chiaro. Io volevo fare qualcosa del genere». E in effetti in Fire Punch il racconto non va mai laddove ci si aspetta. 

La missione sbandierata nelle prime pagine passa ben presto in secondo piano, e Agni è costretto a deporre il ruolo di vendicatore per assumerne altri senza mai fare una scelta volontaria. Il mondo in cui si muove è troppo ambiguo per essere redento, e del resto lui stesso, pur essendo l’eroe salvatore, è disturbante quanto tutti gli altri personaggi, visto che le sue azioni riconducono a due dei tabù più antichi e inviolabili, l’incesto e il cannibalismo.

Il ruolo chiave della serie sembra però essere affidato a Togata: figura androgina, ambigua e manipolatrice, da una parte definisce l’andamento della storia imponendo agli altri cosa fare, dall’altra costringe chi legge a stare in campana, a non lasciarsi trascinare dagli eventi e non immedesimarsi troppo nei personaggi: perché i film e, in generale, le storie non sono altro che una finzione cui fa comodo credere per illudersi che le cose possano trovare un senso. Attraverso il piglio registico di Togata, con Fire Punch Fujimoto offre un intrattenimento senza catarsi, puntando con decisione in una direzione opposta rispetto a quella più battuta dal manga per adolescenti, sicuro di trovare il suo pubblico tra tutti quei lettori che «hanno già letto tanti manga e ne sono ormai annoiati». E non si sbagliava.

Chainsaw Man o la decostruzione del battle shonen

«Avevo la sensazione che se avessi fatto un manga in stile Jump sarebbe passato inosservato. Ecco perché ho provato a conservare la mia specificità di autore mantenendo solo la struttura e i personaggi alla Jump» ha dichiarato Fujimoto in un’altra intervista dedicata alla sua seconda serie. L’esperimento fu decisamente riuscito: Chainsaw Man – pubblicata a partire dal 2018 e tuttora in corso – fino allo scorso aprile contava oltre 24 milioni di copie in circolazione in tutto il mondo.

Tatsuki Fujimoto chainsaw man manga

In un mondo popolato da diavoli e cacciatori di diavoli, l’adolescente Denji vive in una situazione di completa indigenza a causa del debito contratto con la yakuza dal padre suicida. Il suo unico amico è Pochita, un paffuto demone simile a un cagnolino con una piccola motosega al posto del musetto. Quando la yakuza vuole sacrificare il ragazzo al Diavolo Zombi, Pochita lo salva prendendo il posto del suo cuore in cambio della promessa di vivere insieme una vita normale: così Denji diventa Chainsaw Man, l’incarnazione del Diavolo Motosega.

In virtù della sua nuova condizione ibrida tra umano e diabolico, è ingaggiato dall’affascinante Makima, una giovane ufficiale della Pubblica Sicurezza, per unirsi alla squadra che ha il compito di rintracciare il potentissimo Diavolo Pistola, responsabile di alcune gravi stragi del passato. Instaurando un bizzarro ménage fraterno con due suoi colleghi – Aki, un ufficiale cupo, triste e pronto al sacrificio, e Power, un’ingestibile ma a suo modo affettuosa diavolessa del sangue – Denji affronta varie missioni suicide mentre sogna un’esistenza tranquilla e una relazione, non solo platonica, con Makima.

In Chainsaw Man tutti quegli ingredienti che nel tempo hanno definito la formula perfetta del battle shonen sono riveduti e corretti in modo spregiudicato e personale, fino a rivoltare completamente il modello narrativo di riferimento. Ci sono le gerarchie degli ammazza-diavoli e le schiere di nemici sempre più forti da affrontare, ma è impossibile distinguere i buoni dai cattivi. Ci sono i pezzi del Diavolo Pistola da ritrovare e mettere insieme per acciuffare il nemico latitante, ma questa ricerca si conclude prima del previsto e in modo inaspettato. 

E c’è anche la terna di valori che costituisce il motto di Shonen Jump, «amicizia, impegno, vittoria», ma in una chiave decisamente lontana dal senso originale: l’amicizia è fatta di legami forti ma tossici; l’impegno nel perseguire un obiettivo è viziato dall’interesse di ottenere una ricompensa immediata o è imposto da una volontà più forte; la vittoria non porta un sostanziale cambiamento nella situazione perché ciò contro cui si combatte è qualcosa con cui bisogna sempre e comunque fare i conti.

Tatsuki Fujimoto chainsaw man manga

La serie deve moltissimo a Devilman di Go Nagai, non solo per l’idea di un protagonista mezzo umano e mezzo demone ma anche per il nichilismo e il senso di impotenza che vi serpeggiano, eppure Fujimoto preferisce virare il tono dalla tragedia al bizzarro nonsense. Il risultato di questa operazione è che Chainsaw Man sembra distruggere lo schema del battle shonen per poi ricrearlo a partire da punti fermi che non hanno nulla a che vedere con idealismi posticci: il gesto eroico, compiuto in modo grottesco da personaggi imperfetti, non salva il mondo, che è e resta senza speranza, ma sancisce una ribellione soggettiva all’immutabile stato delle cose. È uno sberleffo e insieme una gloriosa rivendicazione di libertà che non ha più un valore collettivo ma un significato soltanto individuale, e per questo non porta al trionfo ma a una soddisfazione personale, e comporta conseguenze imbarazzanti che tocca affrontare.

Una nuova generazione di eroi ed eroine

I toni cupi e grotteschi cui Fujimoto ricorre nelle serie e nelle storie di ambientazione fantastica tornano, meno esasperati ma non per questo meno incisivi, anche nelle opere realistiche, in particolare i volumi unici Look Back e Goodbye, Eri, che raccontano rispettivamente l’amicizia problematica tra due ragazze dal carattere diverso e unite dalla comune passione per il disegno e il legame tra un ragazzo che ha realizzato un film riprendendo gli ultimi mesi di vita della madre e una sua coetanea, l’unica convinta del suo talento come regista.

goodbye eri fujimoto

I personaggi di Fujimoto si muovono tutti in un contesto dove regna la sopraffazione e dove si agisce perché qualcuno, subdolamente o con arroganza, lo ordina. Dove anche chi ha una dote speciale difficilmente ha l’intelligenza di usarla a proprio vantaggio se non dopo aver commesso errori irreparabili e perso qualcosa – o qualcuno – di importante. È uno specchio deformante che riflette la società competitiva in cui viviamo, tanto più repressiva quanto più ci indica con paternalistica autorità modelli di comportamento cui adeguarci, e tanto più insidiosa perché ci sottopone a continue frustrazioni che finiamo con l’incanalare nei rapporti che intrecciamo con gli altri.

Se nel battle shonen i rapporti di forza e le relazioni personali possono risolversi in scontri pirotecnici e sanguinosi, nelle storie realistiche generano implosioni non meno catastrofiche: la felicità si traduce in una piccola gioia – come mangiare un cibo gustoso – vissuta in solitudine, mentre l’affetto familiare, l’amicizia e l’amore romantico possono diventare sentimenti tossici, in cui una delle due parti mangia l’altra o accetta di essere mangiata – in senso figurato e a volte letterale.

Ogni personaggio, che sia eroe o antagonista, condivide questi lati oscuri della natura umana. Lungi dall’avere cuore puro e volontà di ferro – e quindi lontani anni luce dal Rufy di One Piece e dal Tanjiro di Demon Slayeri protagonisti maschili sono forti e passionali ma incapaci di dare un senso alla loro unicità, naïf fino a rasentare la stupidità, incapaci di perseguire un obiettivo a meno che non sia qualcun altro a guidarli o manipolarli.

Tatsuki Fujimoto goodbye eri manga

A perfetto contraltare, le eroine capovolgono l’ideale femminile tradizionale tutto dolcezza e remissività mostrandosi egoisticamente concentrate sui loro desideri, a volte meschine nel realizzarli, incapaci di mostrare empatia anche quando amano sinceramente. Che siano aspiranti artiste invidiose del talento altrui, cinefile affette da malattie incurabili o potenti e crudeli psicopatiche – Fujimoto arricchisce notevolmente la lista di eroine “cute but psycho” – le ragazze di Fujimoto nascondono dietro un aspetto grazioso e rassicurante una sorprendente capacità di manipolazione e una fortissima mania del controllo – della vita altrui e persino della propria morte – e in generale una forza superiore a quella dei ragazzi, anche se condividono con loro lo sguardo disincantato sul mondo.

Il manga come finzione dichiarata

In molti lavori di Fujimoto ci sono personaggi che guardano film per ore, e più appaiono folli o disagiati, più trovano pace nella visione prolungata delle pellicole, come se il cinema fosse una finestra controllata attraverso la quale sentirsi liberi di provare emozioni e avere quella catarsi che si può o non si vuole avere nella vita vera. In effetti, in una costruzione narrativa ben fatta tutto torna, mentre nella vita reale ogni cosa è in preda al caos e all’ambiguità, e la gente cerca le storie proprio per colmare questo bisogno di significato.

Tatsuki Fujimoto look back manga

Fujimoto vuole che il suo pubblico sia consapevole di questo meccanismo psicologico e, per farlo, utilizza una serie di espedienti che minano costantemente la sospensione d’incredulità. In particolare, dissemina il racconto (soprattutto nelle serie lunghe) di sequenze inaspettate che non hanno nessun tipo di introduzione, dando a chi legge l’impressione di aver saltato qualche passaggio quando invece non è così. Oppure sovrappone a una narrazione oggettiva la visione soggettiva di uno dei personaggi, creando una sequenza ambigua che chi legge deve interpretare, prendendosi la responsabilità di decidere che cosa sia in realtà successo.

Come ci si aspetterebbe da un appassionato di cinema, il modo di raccontare del mangaka si basa moltissimo sul montaggio e sulla scelta delle inquadrature. Come ha rilevato Maria Roberta Novielli, docente di cinema giapponese, Fujimoto conosce molto bene numerose tecniche cinematografiche, riesce a tradurle nel linguaggio del manga con grande efficacia e anche a usarle con la consapevolezza di un regista navigato: per esempio, in Goodbye, Eri, one-shot disegnato come se ogni vignetta fosse il fotogramma di un video girato con lo smartphone, i personaggi guardano spesso verso chi legge perché hanno lo sguardo fisso in camera, e la regola dei 180° viene più volte consapevolmente infranta. 

Tutto questo è supportato da uno stile grafico efficace e duttile, che risparmia nei dettagli laddove non servono ma non lesina sequenze a effetto: così, per esempio, gli sfondi compaiono solo dove sono necessari e nelle scene d’azione sono visibili e nitide solo alcune parti del corpo in movimento, mentre le altre sono accennate in modo sintentico per suggerire velocità e concitazione; d’altro canto sono però frequenti splash page ricche di particolari e affollate di personaggi.

Tatsuki Fujimoto chainsaw man manga

Il character design, a tratti geniale nell’elaborazione dei diavoli che compaiono in Chainsaw Man, resta coerente e ben distintivo anche nelle opere realistiche: i personaggi dalle fisionomie sottili, dalle pose ritte e spigolose e dagli sguardi inespressivi e contornati in basso da ciglia a raggiera costituiscono ormai un suo marchio di fabbrica. Come molti mangaka più giovani, Fujimoto sembra avere abbandonato foglio e pennino e optato per il disegno in digitale – come si vede in questo video.

Pur diventando un autore mainstream, Fujimoto è riuscito a trovare un compromesso del tutto personale tra gli stilemi narrativi più consolidati e la sua visione personale del manga, giocando con regole narrative preesistenti e cambiandole dall’interno. È riuscito a imprimere nel manga shonen quella disillusione che caratterizza l’ultima fase del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, senza rinunciare a una dissacrante ironia di fondo. In sintesi, è riuscito a conquistare, spiazzare, e di nuovo a sorprendere, proprio come fanno i grandi autori.

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