
Un po’ di tempo fa su Reddit ero incappato in un lungo thread sul set di acquerelli venduto nello store del Museo Ghibli a Tokyo (store che si chiama “Mama Aiuto”, tra tutti i possibili nomi). Venduto dal 2003 ma solo in presenza, il kit consiste di una vaschetta con 24 colori (ma non di serie, bensì quelli che sono stati scelti personalmente da Hayao Miyazaki perché usati da lui nel suo set da disegno), un lapis, un appuntalapis (oggetti che nel nord Italia vengono chiamati rispettivamente e impropriamente “matita” e “temperamatite”), un pennello, un blocco per gli schizzi e, ovviamente, un foglio con le istruzioni. Che in realtà è un disegno (ad acquerello, ovviamente) di Miyazaki, corredato da un testo. Tutto in giapponese.
Le istruzioni si leggono come i manga in lingua originale: sono parzialmente comprensibili, ma con forte rischio di fraintendimenti. È solo quando si trova la traduzione (era questo il tema del post su Reddit) che alcuni passaggi non esplicitati nel disegno emergono e le cose acquistano un altro senso. Ad esempio, la scelta dei colori: i 24 colori Holbein sono quelli che Hayao Miyazaki ritiene necessari e sufficienti per immortalare la sua personale idea cromatica del mondo e, al tempo stesso, sono di qualità molto media. Appena sufficiente.
Questo perché, come appare chiaro dal testo delle istruzioni, Miyazaki fa degli strumenti un uso che è orientato a uno scopo e non è fine a se stesso. La qualità di quello che sceglie è la soglia minima da superare per ottenere il risultato, non un ideale impossibile al quale tendere. In tanti settori, compreso quello di chi dipinge acquerelli o di chi vuole cimentarsi con il disegno di manga, spesso l’oggetto (la marca del pennello, dei colori, dei pennini) vince su quello che dovrebbe essere l’obiettivo: fare dei buoni dipinti o dei buoni disegni; in ultima analisi, portare avanti la propria ricerca.
(Per i feticisti di Miyazaki e dei suoi acquerelli, perché tanto so che poi lo chiederete, il set è composto anche da prodotti di Mitsubishi Uni, Staedler, Tokyo Namura, Sakura e Fo-Homo.)
Tutto questo è una premessa apparentemente vaga ma che secondo me è appropriata rispetto a Il viaggio di Shuna, appena pubblicato in Italia da Bao Publishing, che va a colmare una piccola lacuna in quello che sappiamo di Miyazaki e della sua opera. Ed è una edizione che è stata particolarmente curata da Bao Publishing a partire dall’originale giapponese e lavorando in maniera pulita e puntuale.
Intanto, la parte più facile: sono acquerelli fatti da Miyazaki per raccontare una storia che aveva pensato di portare avanti come un film. Il “viaggio”, come ci spiega Miyazaki nella postfazione, è ispirato da una leggenda tibetana e segue un suo percorso semplice e lineare: una storia troppo semplice forse per diventare un film (o magari più adatta a essere raccontata sul grande schermo da artisti cinesi, visto che la Cina è in qualche modo protagonista della storia), ma al tempo stesso più che adatta a un lungo bozzetto manga. A suo tempo, nel 1983, l’editore giapponese Tokuma Shoten richiese proprio questa serie di bozzetti, e Miyazaki lavorò con la sostanza di una delle storie che trattava per il suo cinema. Ma lo fece direttamente, con la sua mano, non in maniera filtrata da uno studio di produzione.
Qui, una parentesi: gli autori, soprattutto di cinema e animazione, hanno un rapporto particolare con il loro prodotto. Lo “fanno” sì, ma fino a un certo punto. L’espressione artistica di un film è mediata dalla troupe e dalla produzione che lavora, assieme all’artista, alla realizzazione della sua visione. Miyazaki, per quanto disegni tutte le parti fondamentali dei suoi film, non è chiaramente l’unica persona coinvolta: il suo è sia un lavoro di immaginazione che di narrazione che di direzione e coordinamento. Ma ci sono anche altri talenti che convergono sul prodotto finale. Talenti alle volte enormi, come quelli che lavorano abitualmente per lo Studio Ghibli.
I filtri sono tanti. Nella realizzazione di Il viaggio di Shuna no, invece. Filtri non ce ne sono. Gli acquerelli sono “il modo” di Miyazaki. Questa è la materia che esce dalla mano dell’artista. Questo è il modo con il quale l’artista dà materia al suo pensiero e alla sua intenzione. È così semplice, e diretto, e pragmatico. La lingua parlata da Miyazaki, come ha anche detto molte volte l’autore, è l’acquerello. E il disegno per lui è entrambe le cose: tratto e colore, più acqua.
Se ci pensate, è una piccola rivoluzione rispetto a un mondo espressivo, come quello del manga giapponese, ma deliziosamente in bianco e nero. Che ha utilizzato le chine dense e raffinate di Osamu Tezuka o i retini prima “fisici” e poi digitali dei mangaka a partire dagli anni Settanta. I manga – a parte le prime tavole che per tradizione le riviste pubblicano a colori per tenere alta l’attenzione e il gusto del pubblico (e che spesso divergono tragicamente rispetto alle geometrie delle tavole successive, oppure pagano pegno nelle ristampe in volumetto tutte in bianco e nero) – sono un oggetto culturale che viene non solo letto ma anche imitato e interiorizzato nella sua forma in bianco e nero. Il gesto di prendere appunti o di abbozzare una storia diventa quello: un tratto di lapis o di pennino, nero che corre sulla sfumatura di bianco della tavola. Per Miyazaki no, anche se poi con Nausicäa in versione manga abbracciò il tratto a china nero su bianco dei mangaka tradizionali.
Invece, per Il viaggio di Shuna c’è dietro molto di più. C’è il momento in cui la fantasia e la storia toccano la materia e lasciano una traccia indelebile. Per un cantautore può essere la chitarra più voce, per un fotografo lo scatto con la pellicola, per uno scrittore il pennino che graffia la carta o i polpastrelli che picchiettano sulla tastiera. Per Miyazaki sono gli acquerelli.
Questa è la chiave per affrontare Il viaggio di Shuna. Il secondo livello di lettura è l’universo grafico di Miyazaki, che qui si ritrova compresso con tipi, scenari, ambientazioni. L’autore è uno dei più guardati al mondo perché uno dei più popolari. È capace di dirigere altri, di lavorare dietro le quinte per altri, ed è capace di interpretare il disegno di altri. Ma ha una sua mano, un suo tocco unico. Anche qui, non è il feticcio dell’oggetto che fa la differenza, ma casomai la palette dei colori.
Come i grandi della chitarra: ci sono collezionisti che spendono letteralmente milioni per comprare le chitarre usate dai grandi del rock (o migliaia di euro per le repliche) convinti che là risieda il suono. Quando invece Eric Clapton o Jimi Hendrix suonerebbero come sempre anche con il flauto dolce che si insegna alle elementari ai bambini durante l’ora di musica. La magia è nelle dita, nella voce, nello sguardo, non negli strumenti che vengono usati dall’artista.
Ecco dunque che Il viaggio di Shuna è anche un piccolo monumento alla coerenza, una time capsule alla creatività dell’autore giapponese. Dentro il manga di 142 tavole – che si apre con una sontuosa doppia pagina, uno splash screen a colori che dice tutto della sensibilità per i toni del verde e del marrone (la capacità di lavorare sul tema della natura in maniera non banale e scontata) – c’è praticamente tutta la poetica di Miyazaki. Ci sono i profili della principessa Nausicäa e di Howl, di Kiki e di Mei e Satsuki Kusakabe.
Miyazaki è un artista con un immaginario dentro, il suo immaginario, che rivisita e si ripete con grandi variazioni ma anche con una certa “maniera” e tanta coerenza. Un mondo interiore che esiste sin dal principio. Un mondo che non doveva essere scoperto da Miyazaki, ma semplicemente svelato, un po’ per volta. Una storia alla volta. Il viaggio di Shuna è una delle prime storie interpretate e raccontate da Miyazaki. Ed è bella come l’ultima.
Se poi Il viaggio di Shuna può essere visto come il principio dell’idea dietro a Nausicäa (la cui pubblicazione come manga è antecedente, e lo stesso Miyazaki aveva pubblicato tavole manga tradizionali a partire dal 1969), c’è un’altra opera che a me risulta essere altrettanto interessante e importante, anche se molto più breve. Si intitola L’età delle navi volanti ed è composta da sole 17 tavole pubblicate nel 1990. Dentro però c’è tutto Porco Rosso, forse uno dei più intimistici film di Miyazaki tra quelli rivolti a un pubblico generalista e adulto. In Giappone fu pubblicato più avanti con altre tavole ad acquerello, inclusi modelli di aeroplano, sette tavole con la storia originale di Porco Rosso e altre cose che provenivano dalla serie Miyazaki Hayao no Zassō nōto.
La butto là, magari proprio a Bao Publishing: se dopo Il viaggio di Shuna avete voglia di allargare l’orizzonte, quest’altro volumetto secondo me sarebbe un buon punto da cui continuare.
Il viaggio di Shuna
di Hayao Miyazaki
traduzione di Prisco Oliva
Bao Publishing, ottobre 2023
cartonato, 152 pp., colore
23,00 € (acquista online)
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